Convento di San Nicola della Palma

Luogo ircondato da acque sorgive e giardini rigogliosi con molteplici "storie": di Salerno, della Congregazione cavense e della diffuzione dell'Osservanza.


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Convento di San Nicola della Palma
DescrizioneDescrizione

S. Nicola della Palma, sorto nella seconda metà del XII secolo in quell’area della città che nella documentazione medievale è detta Plaium montis, un ampio terrazzamento che si apre sul ripido pendio della collina in cima alla quale sorge il Castello longobardo. La chiesa, presto affiancata da un complesso monastico, fu fondata intorno al 1061 per la volontà congiunta di due personaggi di notevole spessore, Leone, secondo abate del monastero benedettino della SS. Trinità di Cava dei Tirreni, e il gastaldo Vivo, un ufficiale al servizio dell’ultimo principe longobardo di Salerno, Gisulfo II. In S. Nicola si saldarono, quindi, gli interessi spirituali della guida di una delle principali abbazie dell’Italia meridionale e quelli di un esponente della aristocrazia longobarda.

Il sito d’insediamento della nuova fondazione monastica era peculiare; essa sorse infatti nelle vicinanze di una delle innumerevoli sorgenti che costellavano il Plaium montis e il colle Bonadies. Nonostante nel secolo scorso la falda acquifera sia stata intaccata dai lavori per la costruzione della galleria ferroviaria di S. Lucia, ancora oggi l’intera area è caratterizzata dalla presenza di fonti naturali e da rigogliosi giardini da queste alimentati. Un esempio lampante è rappresentato dal Giardino della Minerva, uno dei più antichi orti botanici e a buon diritto tra i più famosi al mondo. La sorgente prossima al cenobio, ricordata nei documenti come aqua que dicitur de Palma, è testimoniata fin dal 1057. L’acqua che da qui sgorgava, attraverso una conduttura che attraversava longitudinalmente la città, riforniva vari cenobi cittadini, dai fianchi della collina, fino a quelli presso la marittima. 

Alla fonte della Palma va ricollegata la presenza di un balneum, ovvero una struttura alimentata dalle acque correnti destinate al lavaggio del corpo. Rappresentati perfettamente dalle thermae di età romana, questo tipo di complessi non cessarono del tutto di esistere con la fine del mondo antico ma, privi ormai della complessa articolazione che li aveva contraddistinti in precedenza e passati sotto il controllo delle istituzioni religiose, dei vescovi prima e dei monasteri poi, contrassegnarono alcuni territori anche nel periodo successivo. Furono i balnea ad ereditare le funzioni “termali” nel Medioevo, quando l’atto di lavarsi assunse una dimensione religiosa e morale particolare e a volte dicotomica. Se da un lato il lavaggio poteva assumere caratteristiche connesse al vizio (da rapportarsi evidentemente con la nudità dei corpi), d’altro canto l’atto rappresentava simbolicamente anche il mondarsi dal peccato prima di approcciarsi ai luoghi sacri o alle celebrazioni liturgiche. Soprattutto l’utilizzo del balneum era associato ad approcci curativi: non a caso proprio nella Regola benedettina, solitamente molto circospetta nei confronti del lavaggio, interpretato come segno di mollezza se non proprio di impudicizia, si raccomandava la frequentazione dei balnea per i monaci infermi. Di conseguenza, il balneum di S. Nicola della Palma costituisce un monumento di inestimabile importanza, non solo in quanto elemento peculiare nella vita quotidiana all’interno del monastero ma anche perché rappresenta una delle poche e più antiche testimonianze di tali strutture del Mezzogiorno medievale. Inoltre, al momento è l’unico balneum monastico di cui si abbiano sostanziali tracce materiali all’interno del circuito urbano salernitano, di cui, come si diceva, lo stesso monastero costituì un nucleo religioso di non secondaria importanza. Nel febbraio 1071, infatti, l’arcivescovo di Salerno Alfano I consentì ai religiosi di esercitare alcuni diritti parrocchiali, quali la benedizione del cero pasquale e delle case, l’aspersione con l’acqua santa, la visita degli infermi, l’accoglimento dei defunti nella chiesa abbaziale e la loro tumulazione. Si tratta, quindi, di funzioni religiose estremamente rilevanti che, solitamente, erano di esclusiva pertinenza del presule. 

Dopo la morte del nobile Vivo, il monastero di S. Nicola entrò a far parte della rete monastica che faceva capo alla SS. Trinità di Cava de’ Tirreni, piccolo monastero nato in seguito all’esperienza eremitica del nobile salernitano Alferio e assurto ben presto a centro di una vasta congregazione estesa in tutta l’Italia meridionale. In quanto cenobio dipendente dall’abbazia cavense, la comunità monastica di S. Nicola era guidata da un monaco, il preposito prima, il priore poi, direttamente soggetto all’abate della SS. Trinità. Oltre alla disciplina e alla guida dei confratelli, in accordo con le direttive dell’abate, il religioso si occupava dell’espansione, del consolidamento e della difesa del patrimonio monastico.

L’attenta attività economica della comunità si concentrò nell’acquisizione di beni immobili in un territorio che andava dalle immediate adiacenze del monastero, dove il conventus possedeva, ad esempio, parte di una casa con forno (febbraio 1070) e terreni con viti e castagneti (maggio 1074), all’area vietrese e cavense, dove nel maggio 1094 il monastero entrò in possesso di una parte dei beni terrieri del defunto Vivo e nel marzo 1105 acquistò la porzione di una selva. I possedimenti più distanti, oggetto d’interesse patrimoniale da parte del monastero di S. Nicola della Palma, insistevano nell’area che va dalla regione collinare a nord di Salerno alle ampie pianure che si estendono ad est del centro abitato, tra i fiumi Picentino e Tusciano. Soprattutto, quest’ultimo territorio ricoprì particolare rilevanza all’interno delle proprietà agricole del monastero. Qui, ad esempio, nell’agosto 1080 il preposito Giovanni acquistò una terra non seminata al prezzo di 100 soldi d’oro, una somma davvero consistente, che da un lato testimonia l’interesse della comunità per l’area e dall’altro la disponibilità economica della stessa.  

Per la coltivazione di questi appezzamenti il monastero si affidava ad affittuari, ai quali il terreno era ceduto per un periodo più o meno lungo, dietro l’impegno di coltivarlo (ed eventualmente apportare delle migliorie) e di versare annualmente un censo in moneta o in natura o in entrambe le modalità. Solo per fare qualche esempio, le fonti testimoniano che nel maggio 1151 il preposito Paolo concesse un terreno sito all’interno della città per un periodo di 19 anni ad un censo annuale di 4 tarì; nell’ottobre 1183, invece, il priore Notario cedette una proprietà per 12 anni dietro la corresponsione della metà del vino prodotto e dei frutti coltivati, oltre a 30 uova e ad altri contributi.

Col passaggio al periodo svevo e poi angioino, fino agli inizi del XV secolo, non pare che si verificassero sostanziali cambiamenti nell’organizzazione e nella strutturazione patrimoniale del monastero. In diversi documenti, nel gennaio 1209, come anche nel dicembre 1294 e nel febbraio 1363, è confermata la soggezione della comunità monastica salernitana all’abbazia della SS. Trinità di Cava.

Sul finire del XIII secolo S. Nicola della Palma divenne anche un rifugio per una comunità monastica femminile. Infatti, come attesta un atto del novembre 1285, su preghiera del cardinale legato della Sede Apostolica Gerardo, vescovo di Sabina, l’abate cavense Leone II concesse a Perna, badessa del monastero di S. Paolo Sabina vicino Roma, che insieme a sei consorelle era diretta a Capaccio, di sostare in strutture adiacenti alla chiesa di S. Nicola della Palma fino alla festa di S. Giovanni Battista, in quanto la residenza nel centro capaccese risultava troppo pericolosa, non si se a causa dei tumulti verificatesi in seguito allo scoppio della Guerra del Vespro nel 1282. Tra l’altro, l’atto di concessione risulta particolarmente rilevante, dato che presenta l’elenco degli arredi sacri della chiesa monastica redatto al momento dell’accoglimento delle religiose nel complesso.

La fase benedettina del monastero di S. Nicola della Palma termina improvvisamente intorno agli inizi del XV secolo, quando il cenobio venne occupato dai frati Francescani appartenenti a quella corrente religiosa riformistica interna all’Ordine, detta comunemente Osservanza. Secondo alcuni studiosi francescani il monastero uscì dalla congregazione cavense e, nel 1407, accolse i frati per volere di papa Gregorio XII, che aveva accolto l’istanza della regina Margherita di Durazzo, madre del re Ladislao, la quale morì di lì a poco e fu sepolta nello splendido monumento funebre che si trova tutt’oggi nella Cattedrale salernitana. La forma di vita religiosa propugnata dagli Ordini mendicanti, tra i quali rientravano anche gli Osservanti Francescani, era profondamente diversa da quella esperita dai Benedettini: se per questi il chiostro era il cuore dell’esperienza religiosa, per i frati l’orizzonte spirituale si apriva al mondo, in cui predicare e attuare la propria missione pastorale. Per gli Osservanti, il cui ideale era il recupero dell’antico rigore della Regola e del Testamento di S. Francesco d’Assisi, la prospettiva era quindi ribaltata: tutto il mondo diveniva un convento in cui compiere il proprio apostolato. 

Si tratta, perciò, di un momento molto importante nella storia sia religiosa sia istituzionale della città dato che, peraltro, se fosse confermata la tradizionale cronologia dell’insediamento, si tratterebbe di una delle prime attestazioni degli Osservanti nella Regione Campania. Ad oggi, tuttavia, ancora molto lavoro resta da fare per approfondire questo momento di storia di S. Nicola della Palma e della città di Salerno. 

Certamente si sa che il convento mantenne un ruolo rilevante anche dopo l’insediamento della comunità osservante, divenendo nel 1575, e per circa vent’anni, sede della curia della neo-costituita Provincia minoritica di Principato. Ma soprattutto, sembra che S. Nicola assumesse un’importante funzione assistenziale: la comunità si dotò, infatti, di una fornita spezieria, verosimilmente utile ad attività farmacopee legate all’annessa infermeria, dove erano ricoverati religiosi dall’intera Provincia, attirando gran fama per la qualità delle cure qui prestate, testimoniata anche da diversi lasciti testamentari a favore della struttura.

Se l’esperienza religiosa del convento si è ormai conclusa, così non è per la tradizione “medica” del complesso, tuttora portata avanti dalla Fondazione Ebris, che dal 2012 ha trovato sede proprio nell’antico monastero salernitano, assumendosi l’importante onere della tutela e della valorizzazione del sito, attuata anche attraverso la diffusione a favore di un più ampio pubblico della conoscenza delle vicende che interessarono S. Nicola della Palma e le comunità religiose che lo abitarono.

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  Resti dell'antico refettorio

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  Convento di San Nicola della Palma, oggi sede della Fondazione Ebris

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  Veduta panoramica dall'ex convento

Veduta panoramica dall'ex convento

  L'antico balneum medievale

L'antico balneum medievale

  Sistema di riscaldamento ad ipocausto del balneum

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Indirizzo Indirizzo
Convento di San Nicola della Palma
Via Salvatore de Renzi 62, Salerno.
Dove si trova Dove si trova
Convento di San Nicola della Palma Salerno Italia
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